IL SENTIERO STORICO

 

La strada della Corna fu costruita assieme al porto fortificato di Castro agli inizi dell’ XI secolo per creare un percorso commerciale via lago tra la pianura Bergamasca e l’ Alta Val Seriana, senza mai sconfinare nell’ostile territorio di Lovere, allora bresciano. La strada, destinata ad essere percorsa da carri, fu realizzata con grande impegno tecnico, superando notevoli ostacoli di natura fisica attraverso la costruzione di alti muri di sostegno e la realizzazione di difficoltosi scavi in  roccia. Dove la strada ha come basamento la roccia viva vennero scavati dei binari destinati a rendere più sicuro il transito, mantenendo in carreggiata le ruote dei mezzi di trasporto. Nel punto più stretto, tra la parete rocciosa ed il precipizio, venne realizzata una importante opera di fortificazione costituita da una porta o saracinesca che, presidiata militarmente e collegata alla sovrastante fortificazione del Colle di S. Lorenzo, doveva proteggere alle spalle il territorio di Castro.

Dell’opera di difesa restano a vista le due guide incise nella roccia, destinate a contenere gli stipiti della porta.

 

CENNI STORICI

 

Nel percorso che dalla pianura lombarda porta alla Val Camonica lungo la Val Cavallina, il corso terminale del fiume Borlezza e la sua forra (il Tinazzo) costituiscono un forte ostacolo naturale, un vero taglio nel territorio.

 

Le pareti della forra però, poco dopo il suo inizio, si toccano fino a costituire un ponte naturale chiamato nei documenti antichi pons-terraneus o Ponteragno (da cui il nome di Poltragno dato alla località).

Su questo stretto passaggio naturale, oggi ridotto a modesto tratturo, passava l’antica via vallis, che nell’antichità costituiva uno dei più importanti transiti per i paese di area germanica attraverso il passo del Tonale. Su questo ponte passarono numerosi eserciti, tra cui quelli di parecchi imperatori diretti all’incoronazione papale o alle guerre di mantenimento del loro dominio.

Sicuramente transitarono: Federico Barbarossa nel 1166, Ludovico il Bavaro nel 1327, Carlo IV nel 1355, Massimiliano d’Asburgo nel 1516.

A sud del ponte naturale, la profonda forra del Tinazzo ed a nord il letto paludoso e le ripide rive del Borlezza, impedivano l’attraversamento del corso d’acqua, per cui l’angusto passaggio poteva essere bloccato con grande facilità.

L’alternativa di transito poteva essere, verso sud, la risalita al colle di S. Lorenzo e poi la ridiscesa verso il largo estuario dove il fiume poteva facilmente essere guadato, oppure verso nord, la risalita fino a Sovere per cercare di attraversarlo dove le rive erano meno ripide e il fondo meno paludoso.

Su questo vallo naturale il controllo militare romano si arroccò per quasi un secolo, presidiando il passaggio e creando una linea difensiva che impedisse alle bellicose popolazioni camune di uscire dalla loro valle per compiere scorrerie verso la pianura.

Le fortificazioni medioevali del colle di S. Lorenzo a Castro e della Madonna della torre a Sovere, sorsero probabilmente su due originari fortilizi romani che avevano il compito di sorvegliare ed impedire l’aggiramento della forra.

 

Solo sotto Augusto, i Romani decisero di soggiogare definitivamente le valli alpine e nel 15 a.c. la val Camonica fu sottomessa.

La forra non perse comunque la sua funzione di forte elemento di delimitazione territoriale e in epoca imperiale romana fu il confine tra la tribù Voturia e la Quirina; divise poi i ducati Longobardi ed infine le contee vescovili di Bergamo e Brescia, per cui ancora oggi è confine tra le due diocesi, oltre che tra i comuni di Lovere e Castro.

Alla presenza di questa antica delimitazione territoriale devono la loro nascita nell’XI secolo: il porto fortificato di Castro e la cosi detta strada della “Corna”, scavata con grande impegno tecnico nella roccia sulla sommità della forra e munita di opere di difesa. La funzione del paese e della strada era strategicamente molto importante; dovevano permettere di collegare via lago senza mai sconfinare nel territorio “bresciano” di Lovere, le valli bergamasche che erano importanti produttrici di ferro, ma dipendevano dalla pianura e dalla città per il vettovagliamento.

L’acqua del Tinazzo forniva anche l’energia necessaria per lavorare il ferro delle valli e sul suo corso, sia a monte che a valle della forra, sorsero mulini e fucine. Ma la forra rappresentò nei secoli anche una permanente minaccia di devastazione. Nel caso di forti nubifragi, l’acqua trascinava grandi quantità di detriti vegetali che impuntandosi nello stretto ingresso della forra, creavano una diga di tronchi che alzava anche di una decina di metri il livello del retrostante torrente, Quando la diga cedeva, l’effetto era devastante: un  uro d’acqua entrava con un assordante rombo nella forra e si scaricava a lago, lambendo il paese di Castro. Una delle più disastrose alluvioni fu sicuramente quella avvenuta poco prima del 1535, anno in cui erano ancora descritti i lavori in corso per la riparazione dei gravi danni subiti dal paese.

 

A questa distruzione faceva probabilmente riferimento il letterato bergamasco Achille Mozzi, che nel 1590 scriveva “Vicus Oliveri Castri Memorabilis olim, Corruit, immensae turbine raptus aquae” (il villaggio di Castro, ricco di ulivi ed un tempo degno di memoria, rovinò travolto da un immenso vortice d’acqua).

Ma quella citata dal Mozzi potrebbe anche essere un’altra alluvione avvenuta poco prima del 1590, poiché con un tempo di ritorno di circa mezzo secolo, altre alluvioni sono ricordate nel 1692, nel 1737, nel 1784, nel 1820, nel 1882, nel 1905.

Probabilmente dopo l’alluvione di fine ‘500 fu costruito il possente muro d’argine verso Castro, già rilevato nelle carte del 1626 ed ancora oggi visibile. L’alluvione del 1784 danneggiò gravemente il primo esempio di trasformazione in senso industriale dell’economia, che da secoli sfruttava artigianalmente l’acqua della forra. Venne infatti raso al suolo il forno fusorio che Ludovico Capoferri di Castro (1752 – 1830) aveva costruito all’uscita della forra.

Di fronte al forno del Capoferri, in territorio loverese, più protetto dalle alluvioni, sorgevano già gli antichi mulini della misericordia, su cui venne impiantata una fabbrica di falci ricordata a partire dal 1742 e statalizzata in epoca napoleonica.

Partendo da queste basi, Giovanni Andrea Gregorini di Vezza d’Oglio (1819 – 1878) costruì sulle medesime aree nel 1855 il primo nucleo dell’attuale stabilimento siderurgico. Nel 1810 fu appaltata dal governo napoleonico la strada Poltragno – Lovere, che coprendo parte della forra del Tinazzo, doveva collegarsi con la strada rivierasca appena completata. Il motivo dei lavori era indubbiamente collegato ad esigenze militari, essendo di massima importanza nel corso delle guerre napoleoniche il facile collegamento tra la pianura lombarda ed i confini del Tirolo.La guerra che riprese proprio nel 1810, costrinse però ad interrompere i lavori, che solo nel 1816 vennero ripresi dal nuovo governo austriaco e terminati con l’ardita costruzione del ponte sul Tinazzo.

L’opera ciclopica per quei tempi, destò enorme stupore tra la popolazione. Don Alessio Amighetti nell’opuscolo “La gola del Tinazzo” edito nel 1897 dice che “la gola in chiunque la visita per la prima volta non può non lasciare un’impressione incancellabile di orridezza, di raccapriccio e di ardimento per quegli ingegneri, che verso l’anno 1816 si peritarono di coprire quel baratro spaventoso con una strada”.

L’impatto di questo lavoro sull’urbanistica Loverese fu enorme; il principale asse viario cittadino, quello che da secoli attraversava il centro storico, fu abbandonato e la piazza del Porto divenne il centro del paese.

Con i lavori la forra perse buona parte del suo cielo aperto, ma ben peggiore sarebbe stata la devastazione del secolo successivo.

Infatti i successori di Giovanni Andrea Gregorini, desiderando ampliare l’area industriale e porre gli impianti al sicuro dalle distruzioni, ottenne nel 1915 l’autorizzazione a deviare il corso del Borlezza, costruendo una diga nella forra del Tinazzo e scavando un canale artificiale che sfocia a lago poco prima del Bogn di Castro. Questa diga divise in due la forra, mantenendone attiva una parte e rendendo “fossile”, ma facilmente visitabile l’altra.